Nel secondo approfondimento della serie “Mi hai fatto come un prodigio” tratteremo di coscienza umana, giudizi e scelte, a confronto con l’applicazione degli algoritmi nell’intelligenza artificiale.
Un tratto caratteristico della nostra epoca è senz’altro lo sviluppo tecnologico che coinvolge tutte le sfere della vita e i settori della società, e al quale vengono associate enormi potenzialità ma anche un potere economico non indifferente. In questo ambito rivestono particolare importanza i Big Data, masse di dati che vengono analizzati attraverso algoritmi da sistemi informatici complessi e applicati agli scopi più diversi: dalla scienza e la medicina, all’economia, dal marketing alla meteorologia, dal mondo del lavoro alla sfera sociale, e così via.
Un settore di ricerca che mi affascina particolarmente è quello dedicato all’intelligenza artificiale, che mette in dialogo tecnologia e neuroscienze. Andando oltre la paura, alimentata dalle opere letterarie e cinematografiche di fantascienza o da certe ideologie filosofico-scientifiche, di un futuro in cui le macchine rimpiazzeranno gli uomini, è possibile scoprire quelle caratteristiche non replicabili che fanno la nostra specificità, prima fra tutte la coscienza.
Secondo il senso comune, la coscienza è la sede in cui avviene il processo di valutazione e decisionale che porta al giudizio, attraverso l’esercizio della libertà. Inoltre la coscienza è anche il luogo della consapevolezza di sé e della realtà che ci circonda. 1
La ricerca del bene e della verità è un esercizio che dura tutta la vita, continuamente siamo confrontati a delle scelte che implicano un giudizio e richiedono un’azione o una presa di posizione. La rapidità con cui, per la maggior parte del tempo, avvengono questi processi nel quotidiano potrebbe far pensare a delle reazioni istintive.
Nonostante per molto tempo non sia stato così, oggi proprio dalle neuroscienze e grazie alle ricerche sull’intelligenza artificiale, l’idea che la risposta ad uno stimolo esterno avvenga in modo automatico, senza possibili scelte e quindi per noi senza esercizio della libertà, viene messa in discussione. Ci si è resi conto infatti che la rapidità di previsione e reazione, nella rete neuronale, è data infatti dalle esperienze pregresse, che siano eredità del processo evolutivo o derivate dall’ambiente culturale, dall’educazione, dalla formazione e dall’esperienza personale. Quando vivo una situazione simile ad una precedente o vedo qualcosa di simile a ciò che ho già visto, il cervello procede per associazione. Ogni nuovo input fornito dal vivere quotidiano, permette da un lato ulteriori possibilità di associazione e dall’altro velocizza il processo di riconoscimento della situazione e quindi anche quello reattivo. Questo procedimento non ci determina ma offre un ventaglio di connessioni possibili, fra cui ci sarà anche quella che verrà adottata, non escludendo così per la persona umana l’esercizio della libertà.
Le reti neurali artificiali procedono anch’esse per associazione, sul modello del cervello, e alcune sono capaci di autoapprendimento (machine learning) ma si differenziano notevolmente dall’agire umano. La maniera di rapportarsi alla realtà è sostanzialmente diversa in quanto traggono regole sulla base di analisi dei dati e statistiche. Ci si rende conto man mano però che questo modo di procedere, anche se a volte è più performante, ha dei limiti.
Uno degli esempi classici è quello dei veicoli senza conducente, che se da un lato potrebbero ridurre notevolmente il numero di incidenti, dall’altro pongono grandi interrogativi dal momento in cui devono essere programmati anche per prendere decisioni attraverso algoritmi etici in situazione di imminente incidente. L’algoritmo in questo caso fornirebbe alla macchina una serie di regole che il veicolo dovrebbe applicare in base alla situazione che registra attraverso i suoi sensori, per evitare il peggio e coinvolgere il minor numero di persone possibili in un incidente. L’agire etico perciò non è intrinseco ma viene implementato nella macchina da persone umane che le danno regole.
Il nostro modo di entrare in contatto con la realtà e con gli altri invece è fisico – gran parte delle informazioni le cogliamo attraverso i sensi – razionale e empatico.
La dimensione intuitiva è essenziale, e tante volte determinante, e non si trae da statistiche o algoritmi. I sensi si differenziano dai sensori: non ci indicano la temperatura esterna, né a quanta distanza precisamente ci troviamo da un oggetto, eppure ci permettono di cogliere della realtà un numero incredibile di sfumature che forniscono informazioni le più svariate, importanti o poco utili, che non possono essere “misurate”. La dimensione razionale non è dettata da un insieme di regole (se accade questo, allora fai questo…) e il nostro agire è un agire etico, nel bene o nel male. Di certo non siamo infallibili poiché umani, ma responsabili dei nostri atti questo sì. La capacità di immedesimazione inoltre, data dai neuroni a specchio e dalla capacità empatica, influisce enormemente sul nostro essere e agire.
Il fenomeno della coscienza di sé, che presuppone il fatto di essere persone che interagisco con gli altri e con il mondo attraverso i sensi, la volontà, la ragione, persone che sperano, desiderano, amano, inventano, creano e così via, risulta essere un mistero irreplicabile per la scienza, che spesso a torto crediamo spieghi ogni cosa. Qui si trova il limite fra l’intelligenza artificiale e l’essere umano.
1 Oltre a questi due aspetti, nell'esperienza cristiana, la coscienza viene considerata lo spazio di confronto con la legge divina scritta in ciascuno, argomento che non è possibile approfondire in questo articolo.